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Come
in quasi tutti i paesi attraversati, anche a Matrice posso dire di aver
conosciuto qualcuno. In particolare due persone, uno compagno di scuola
al liceo, l’altro incontrato tante volte in un laboratorio di falegnameria,
alla fine quasi un amico. Ora non li vedo da tempo, ma li ricordo benissimo
perché avevano in comune una stazza quasi inumana, come di figura
antica, di eroe buono e possente, in cui non era possibile definire se
vi fosse pinguedine o prestanza fisica alla massima potenza. Però
mansuetudine sì, in entrambi, come di chi sopporta tutto.
Nello stesso tempo, pure in comune possedevano un guizzo di luce negli
occhi che faceva pensare ad una qualche improvvisa furbizia, ad un tenerti
sempre sotto scacco a tua insaputa, una vera e propria stranezza, in quel
corpo apparentemente pesante. Te ne accorgevi quando gli sfuggiva una
battuta sottile, e tu, colto alla sprovvista, non potevi fare altro che
ridere.
Avevano tanto in comune, eppure, ne sono certissimo, non si conoscevano
nemmeno.
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