labores  
  labores  
     
Nature (ancora) Vive casa

Nature
(ancora) Vive,

Parole

 
  casa  
   
Dipinte tra divembre 2009 e marzo 2010, su carta per acquerello, mis. cm 37x26.

   

Non sono estraneo dal frequentare la “pittura di genere” (basti pensare agli innumerevoli paesaggi dal vero o ai ritratti), e devo aver dipinto (ma soprattutto disegnato) più di qualche natura morta occasionale.
C’è da dire che, tra i paesaggi dal vero, gli Angoli del Molise non sono niente altro che delle nature morte giganti, accatastamenti di oggetti in quell’ordine apparentemente casuale ma eminentemente affettivo che solo nelle più intime prossimità dello spazio privato si può rintracciare e percorrere.
Forse, volendo, si potrebbero anche trovare delle analogie con il ciclo più recente.

 

   
Tuttavia è la prima volta che decido di realizzare una serie specificamente dedicata, e per chi mi segue era facile immaginare che, se mai lo avessi fatto, i miei riferimenti sarebbero rimasti sostanzialmente all’interno della pittura metafisica: da De Chirico, a Morandi, fino al sorriso ineffabile di Savinio e magari via via perdendomi, soprattutto, come al solito, nei cromatismi del fauve o cedendo ai richiami della matericità informale, cui non so mai sottrarmi completamente.
   
 

Basterà aggiungere, credo, ma solo per la completezza documentale che si deve a questo sconfinata memoria comune che è la rete, che il titolo, “Nature (ancora) Vive”, oltre a cercare, almeno nelle parole, di alludere al genere con qualche ironia, vuole soprattutto indicare che, sin dal principio, le “nature” ritratte non hanno sicuramente alcun riferimento all’esperienza sensoriale, visiva, insomma “oggettiva” (come già la pittura metafisica insegnava).

 

 
   
 

Piuttosto si allude qui all’ essenza intima, ad una qualche natura interiore, al carattere precipuo di chi comunque, anche nelle vesti apparenti di oggetto inanimato, vive in questo mondo, proiettando colori, ombre, emettendo identità, affermando preferenze e distacchi.

 

 

 
   
 
  Direi, se non temessi di parlare, come in effetti è, di cose che non conosco, che gli oggetti, i frutti, i fiori dipinti non sono insomma niente altro che “persone”, intese nel senso classico di “maschere”, figure emotive, che praticano la realtà e la informano, così come chi nasce è costretto a non ignorarla ed a interagire con essa e con gli altri lungo le direttrici tracciate dalla propria storia e dal proprio destino.  
   
 

 

Ci si potrebbe spingere persino a formulare un parallelo non so quanto ardito o banale. Così come, da Giotto in poi, lo sviluppo e l’acquisizione della prospettiva ha segnato il recupero della classicità e della Storia (dall’Umanesimo al Rinascimento), nello stesso modo la perdita del naturalismo prospettico e la rappresentazione dello Spazio Simbolico (da Van Gogh fino alla Metafisica, il Surrealismo e oltre) ha implicato la consapevolezza e la dilatazione dello spazio interiore, dell’immaginario inconscio, fino all’approfondimento metafisico novecentesco sulla stessa natura dell’Essere.

 

 

 

 
 
Per tornare al nostro piccolo, nell’economia di ogni dipinto, tali “nature viventi” (finché, appunto, ancora lo sono), si confrontano, trovano equilibri, muovono conflitti talvolta irriducibili, o si adattano a inquiete convivenze, ma sempre nelle regole di uno spazio definito, interno o esterno che sia.
 

Poiché è appunto nello Spazio, in quella tridimensionalità presentata nelle forme dell’allusione emotiva tipica della pittura metafisica, che la materia, i corpi, le Nature Mortali sono comunque gettati, dove rapporti e relazioni diventano misure, distanze, posizioni determinate, per quanto mediate da una più o meno rigorosa bellezza o dalla nitida trasparenza della metafora.


Come se, almeno in quegli angoli dove gli oggetti sembrano lasciarsi contemplare indisturbati, l’enigma (delle nostre vite) potesse diventare leggibile, ordinato e,
finalmente, coinvolgerci senza dolore.